Di poche parole, ma molto attento a dare risposte precise, mister Di Palma ha un carattere chiuso, vive la sua vita serenamente a Milazzo, là dove pratica nuoto, corsa e camminate all’aria aperta. Non frequenta bar e locali pubblici, anche se ha tanti conoscenti. Non gli ho mai sentito usare la parola – “amici” – probabilmente perché lui, il buon Enzo Di Palma, dà molto peso al significato e all’importanza delle parole e dei valori. Il suo vago accento napoletano, che non ha mai perso nonostante abbia girato il mondo in lungo e in largo per il suo lavoro di preparatore dei portieri di calcio, lo rende ancor più simpatico. E’ il suo modo di essere, preciso e poco incline a enfatizzare l’inutile, perché sa essere essenziale. Anche oggi, nonostante la giornata di estrema calura estiva che sconsiglierebbe ogni cosa, noi abbiamo pensato di incontrarci per un’intervista all’Hotel Principe di Milazzo, il quale ci accoglie in un salottino ben rinfrescato dalla necessaria aria condizionata.
Mister Di Palma, lei è nato a Bacoli in provincia di Napoli, eppure di Milazzo ne ha fatto il suo luogo di vita. Qui c’è tanto che le appartiene. Perché?
“La città di Milazzo è diventata la mia prima casa perché tanti anni fa ho conosciuto l’amore, e cioè mia moglie che allora era appena 15enne.”
Nel 1985/86 lei ha conseguito una storica promozione con il Messina in Serie B con Franco Scoglio in panchina, dopo avere vestito le maglie del Milazzo e della Nuova Igea. Poi, sulla soglia dei trent’anni ha deciso di smettere di giocare. Che cosa ricorda di quel periodo?
“Ricordo che l’ultimo anno in cui ho giocato l’ho fatto alla Reggina, poi dovevo fare una scelta: o fare un anno ancora di C2 in Puglia, oppure fare un corso per allenatori a Catania. Così decisi di fare il corso di allenatore. A questo proposito posso dire che mi è andata bene perché subito dopo mi ha chiamato la Reggina e ho iniziato a lavorare con Nevio Scala come allenatore dei portieri in C1, la Serie B e l’ultimo anno con lo spareggio per la Serie A contro la Cremonese.”
Una volta appese le scarpe al chiodo, lei che è stato un estremo difensore, ha intrapreso una brillantissima carriera di allenatore dei portieri. Ripercorrendo le tante soddisfazioni che ha avuto insegnando il vero ruolo del portiere di calcio, qual è il momento che ricorda maggiormente con orgoglio?
“Il momento più importante è stato il debutto di Gigi Buffon a Parma, in Serie A contro il Milan. Il quel caso dovevamo fare una scelta perché c’era Bucci infortunato, il secondo portiere Nista e un ragazzino che giocava nella Squadra Primavera che era Gigi Buffon. Mi accorsi subito che proprio Gigi Buffon dava maggiori garanzie in quel ruolo di portiere, nonostante fosse il più giovane di tutti. Nevio Scala un giorno mi disse che dovevamo andare dal Cav. Tanzi, perché era arrivato il momento di comprare un portiere. A questo punto, il buon Nevio Scala, allenatore del Parma, mi disse di andare dal presidente, visto che ero l’allenatore dei portieri. Ricordo come fosse ieri, che consigliai quel ragazzino che si allenava con noi e aveva dato prova di grandi qualità tra i pali. Quella fu davvero una mia grande responsabilità che, peraltro, avevo condiviso con Nevio Scala. Ebbene, grazie a Dio quella partita andò bene, e Gigi Buffon partì per quella fantastica carriera che tutti conosciamo.”
Ma che cosa ha visto tecnicamente in Gigi Buffon che altri ancora non percepivano?
“Ho visto in primis il suo carattere allegro, rompi scatole e secondo me anche questo suo modo di agire e comportarsi è stata la sua forza. Infatti, da Nevio Scala a Cesare Maldini, alle Olimpiadi di Atlanta in cui il ruolo di portiere era coperto da Buffon, Pagliuca e Pagotto, mi raccomandavano di tenere a bada il ragazzino Buffon, se no non l’avrebbero portato più con noi. Così negli anni ho capito che proprio quel suo modo di fare e di essere è stata la sua forza. Poi, la sua differenza a livello tecnico tattico è stata quella di prevedere e quindi giocare sull’anticipazione. Infatti, mentre gli altri erano costretti a fare un intervento per rimediare ad un eventuale errore, lui, era già pronto, perché capiva le intenzioni degli avversari.”
E quindi, possiamo dire che era un predestinato?
“Sì, proprio così!”
Giovanni Galli, Ferron, Taffarel, Bucci, Frey, Storari. Tutti portieri che, grazie ai suoi insegnamenti, hanno raggiunto la vetta del successo professionale. Ma qual è stato il suo segreto nell’individuare la grandezza dei portieri che ha saputo preparare?“Ancora oggi lavoro sui particolari, sui dettagli, e tante volte sono capitati dei portieri che le società non avevano nessuna voglia di tenere. Io, invece, gli ho fatto cambiare idea perché sostenevo le loro grandi qualità, a patto di lavorare bene insieme. Così, per mia fortuna, ho sempre avuto ragione. Anche con Storari che ho fatto esordire a Perugia in Serie A e poi Bucci che aveva 18 anni a Parma, Frey che veniva dall’Inter a Verona e aveva 18 anni. Penso di essere stato non autorevole ma più autoritario. Sembra un paradosso, perché nel mondo del calcio è essenziale capire sempre chi hai di fronte.”
E parliamo di Cesare Prandelli, un grande uomo e allenatore molto preparato. Qual è il rapporto che l’ha legato a lui in tanti anni?
“Prima di parlare di Prandelli vorrei ricordare il mio rapporto con Nevio Scala, con il quale ho lavorato per 12 anni. Un uomo eccezionale, un allenatore che oggi non esiste più. Un allenatore che diceva sempre di essere lo psicologo della squadra perché la squadra rispecchia me stesso. E quindi ho un magnifico ricordo di Nevio Scala. Cesare Prandelli, con il quale ho lavorato più di 16 anni, è un allenatore bravissimo tatticamente. Un uomo sempre riservato, sempre sulle sue, mai è andato fuori dalle righe, così come ha dimostrato di essere ai Mondiali quando siamo usciti e ha dato subito le dimissioni. Prandelli è un uomo di altri tempi.”
Sono i classici sensi di colpa che fanno emergere l’uomo, prima ancora che il professionista!
“ Sì, è assolutamente vero! Questi valori non esistono più. Pensi che noi avevamo un contratto firmato di altri due anni in prospettiva dei futuri europei, indipendentemente dal risultato. Così abbiamo lasciato due anni di contratto.”
L’allenatore – psicologo – quanto è importante nel calcio di oggi?
“Secondo me è importantissimo, perché tante volte i ragazzi, specialmente i più giovani, non parlano con i genitori, ma si confidano di più con gli allenatori, gli istruttori, con gli educatori. Quindi è una figura molto importante. Ecco perché il vero psicologo di una squadra è l’allenatore. Io, purtroppo, ho avuto esperienze non proprio positive con lo psicologo, perché tante volte entrano e cercano potere. Perciò penso che su questa figura bisogna stare molto attenti.”
E’ vero che nel calcio giovanile c’è un’alta percentuale di abbandono? “Purtroppo sì, sia dalla parte dei calciatori che delle calciatrici, perché c’è mancanza di educatori, di istruttori e competenze. Oggi mi occupo di dare la qualifica ai futuri allenatori dei portieri e lavoro per il Settore Tecnico, organizzando corsi nazionali.”
Lei che insegna a Coverciano e ha creato dei corsi di istruttore dei portieri anche in Campania, Calabria e Sicilia, ha sostenuto da sempre che i portieri di calcio devono essere formati e non improvvisati. E’ così?
“ Innanzi tutto i corsi sono Regionali, Interregionali e Nazionali. Quelli fatti a Coverciano ti danno modo di allenare in Serie A, Serie B e Lega Pro. Non esiste più l’improvvisazione perché oggi il profilo del portiere deve essere completo dal punto di vista tecnico, tattico, fisico, psicologico e quindi cognitivo. Sono quattro aree che messe insieme formano il profilo dei portieri. Tra queste quattro aree, quella che secondo me fa la differenza è l’aspetto cognitivo. E’ il focus di tutto, perché poi dipende molto dal carattere del ragazzo, dalla personalità. Ci sono atleti ben messi fisicamente ma poi sono fragili mentalmente e caratterialmente.”
Mister Di Palma, lei sarà invitato a partecipare in qualità di ospite d’eccezione alla conferenza stampa e al MemorialTriangolare di calcio “Marco Salmeri” che si svolgerà a Milazzo il prossimo 18 Agosto 2023. Cosa l’ha colpita di questa storia?
“Purtroppo, per i miei impegni che tante volte mi hanno portato fuori da Milazzo, non ho avuto modo di conoscere Marco Salmeri. Tuttavia, devo dire che ne ho sempre sentito parlare bene e porto dietro un bel ricordo del ragazzo che aveva scelto di giocare a calcio e quindi aveva dei sogni e purtroppo il destino non ha voluto che li portasse a termine.”
Che cosa pensa del ruolo di portiere nel calcio di oggi?
“Questo percorso l’ho vissuto sia da giocatore che da allenatore, perché se noi andiamo indietro nel tempo, dal ’92 in poi dalla regola del retropassaggio al portiere che non poteva più prendere la palla con le mani è iniziata l’era moderna del portiere. Tuttavia c’è da ricordare che negli anni di fine ’70 l’Ajax di Crujff giocava con il calcio totale e una squadra corta e il portiere era costretto a difendere lo spazio nell’area difensiva. Quindi, essendoci l’intercambiabilità dei ruoli, il portiere era parte integrante del gioco della squadra e non più un elemento a parte. Oggi c’è da difendere la porta e saper costruire, perché se hai un portiere bravo con i piedi, intelligente e conosca il gioco del calcio, allora puoi dire di possedere un ottimo difensore della porta. Ormai è tutto improntato sulla tattica, e se il portiere è un corpo estraneo, rimarrà sempre fuori dal gruppo. Quindi il portiere oggi deve usare lo stesso linguaggio della squadra perché la tattica è un’azione coordinata di due o più giocatori.”
Per finire mister Di Palma. Che programmi ha nel suo futuro?
“Io ho realizzato il mio sogno di giocare e allenare, creando un nuovo lavoro nel restare in Federazione come docente. Penso che nella vita non si debba mai smettere di sognare. Questo vale per me e specialmente per i giovani.”
Salvino Cavallaro